| Kiko 54 |
| | Altra considerazione: la riduzione a forme mimetiche differenziali tra l'habitus fario mediterranea e l'habitus macrostigma (considerate verosimilmente sinonimi) non pare scientificamente tanto attendibile (molto più attendibile il rapporto numerico vertebre toraciche/caudali), tanto più che non è si tratta solo di una questione cromatica ma anche morfologica (forma e dimensione delle macchie). Riporto, sottolineato in rosso, le osservazioni di Gibertoni. TROTA FARIO E MACROSTIGMA Verrebbe da chiedersi: come mai un unico paragrafo per due specie diverse? In realtà la prima domanda da porsi è: che cosa si intende per trota fario? Pare infatti che le trote dei fiumi che sfociano nel Mediterraneo, con livrea a punti rossi e neri, c'entrino ben poco, stando alla genetica, con le fario del resto d'Europa. E pare invece che, tra le fario mediterranee e le cosiddette macrostigma, che popolano ancora alcuni dei nostri fiumi (versante tirrenico dell'Appennino e isole, ad esempio), le differenze siano solo apparenti: in pratica cambia solo la punteggiatura. Fario mediterranea e trota macrostigma sono praticamente sinonimi, due facce della stessa medaglia. Due realtà equivalenti con differenti caratteristiche della livrea a seconda del contesto cromatico ambientale. Tant'è che sull'Appennino tosco-emiliano, dove per fortuna si trovano ancora popolazioni autoctone, e dove guarda caso è situato il centro ittiogenico “I Giardini dell'Acqua”, le trote passano gradualmente da una livrea tipicamente “fario” a monte, con punti rossi e neri piccoli e fitti, a quella tipica della macrostigma con punti grossi e neri a valle. Semplice mimetismo? Forse sí: nel tratto prossimo alla sorgente, il contesto cromatico è molto vario: la roccia nuda, la ghiaia, la presenza di ossidi di ferro rossastri possono aver promosso una livrea più variegata che include punti rossi. Più a valle, invece, il sedimento limoso, la vegetazione acquatica, eccetera formano un substrato di colore più uniforme e spento, selezionando livree meno vivaci. Ciò è comprovato dal fatto che non sempre il fenotipo “macrostigma” si trova nei tratti di fondovalle: laddove acque di alta quota presentino un contesto cromatico scuro, con presenza di macrofite, ecco che anche lì compare la livrea a punti neri. E' il caso, ad esempio, della macrostigma del Fibreno. Il mimetismo è un fattore importante, che può fare di un animale un predatore efficiente ed al contempo una preda difficile. Qualche differenza tra le due forme, al di là della livrea, a dire il vero c'è, ma è solo questione di idoneità a tratti di fiume diversi. Le mediterranee a fenotipo macrostigma, infatti, essendo generalmente trote di fondovalle, hanno sviluppato una resistenza ad alte temperature di cui un salmonide non era ritenuto capace. Queste trote, in casi estremi, sopravvivono in acque fino a 28ºC, il che è davvero notevole! Un evidente adattamento alla calura estiva dei corsi d'acqua mediterranei. Vorrei porre l'accento su quanto concerne il periodo riproduttivo. In genere i pesci si adeguano al regime idrologico del bacino idrografico che li ospita e le trote non sono da meno. Le zone a clima mediterraneo presentano inverni piovosi ed estati secche. Il contrario di quanto avviene nel resto d'Europa. Le mediterranee di torrente, pertanto, si riproducono nel momento a loro più congeniale, quando è minima la probabilità di eventi di piena o di magra eccessiva. Esse depongono da dicembre-febbraio nel tratto prossimo alla sorgente (fenotipo fario) fino a primavera inoltrata nel fondovalle (fenotipo macrostigma), ritardando “volutamente” in caso di piene improvvise. Come mai allora il periodo di divieto in Italia va da fine settembre a febbraio, lasciando scoperta gran parte della frega delle trote mediterranee? La risposta, purtroppo, è semplice: allevando e introducendo trote atlantiche, abbiamo ricalcato il periodo di divieto dagli altri paesi europei, dove effettivamente le trote si riproducono a partire dall'autunno. Ma in questo modo in Italia, da sempre, abbiamo tutelato le trote di allevamento alloctone a scapito dei ceppi autoctoni. Il che, a mio personale modo di vedere, è pura follia dettata dalla disinformazione e dagli interessi economici a breve termine. Le trote atlantiche (o meglio, coloro che le hanno introdotte), insieme all'alterazione degli ambienti da parte dell'uomo, hanno cancellato letteralmente la stragrande maggioranza delle popolazioni mediterranee a causa di competizione e ibridazione. Per quanto i periodi di riproduzione dei due ceppi siano sfasati, essi si sovrappongono quanto basta per inquinare progressivamente il patrimonio genetico di una popolazione indigena, fino a soppiantarlo quale conseguenza di ripetute immissioni. Da un lato, però, rimane la speranza di poter ripristinare alcune popolazioni a partire da stock selezionati in allevamento. Secondo il dott.Gibertoni, infatti, un torrente popolato da atlantiche può essere “sterilizzato”, come si dice in gergo, prelevando tutte le trote ivi presenti con l'elettropesca. Dopodiché sarebbero sufficienti pochi eventi di reintroduzione di mediterranee affinchè queste, sicuramente meglio adattate ai nostri corsi d'acqua, possano avere di nuovo la meglio. Il nostro auspicio è che sempre più impianti ittiogenici pubblici optino per la possibilità di allevare stock di mediterranee, come già avviene altrove (pur senza giungere all'addomesticamento delle trote native!). La sensibilizzazione nel mondo della pesca è già a buon punto, visto che molti pescatori si chiedono sempre se le trote che catturano siano autoctone o meno (seppur illudendosi un po' troppo spesso che la risposta sia affermativa...). Il consenso popolare sta alla base di tutto.
In effetti, da esperienze gestionali personali plurime in impianto, la comparsa (minima per altro) del carattere fenotipico "macrostigma" a partire da genitori fenotipicamente fario med Uploaded with ImageShack.usnella progenie avvalerebbe l'ipotesi del progenitore comune. Tuttavia, quello che non è stato detto è che l'attuale distribuzione dei fenotipi in Appennino (mi riferisco all'Appennino Emiliano) non è presumibilmente quella originale. Dando per scontato che S. cettii sia presente da sempre (ma è probabile che non sia così e che sia stata transfaunata), secondo quanto asserito sopra il fenotipo macrostigma dovrebbe essere più frequente a valle, data la migliore tolleranza alle alte temperature estive, mentre quello fario mediterranea dovrebbe sempre (o quasi) caratterizzare le parti superiori dei corsi d'acqua. In realtà ciò non accade quasi mai nei corsi appenninici ricordati. Riporto, a titolo d'esempio, alcune foto di fenotipi di riferimento. Fig.1) Uploaded with ImageShack.usQuesto fenotipo, riconducibile per caratteristiche alla forma mediterranea della trota fario, è in realtà tipico di alcune aste di fondo valle (Secchia-Enza); attualmente è presente in maniera alquanto frammentata; Fig.2) Uploaded with ImageShack.usAnche in tal caso il riferimento è come il precedente, ma si tratta di individui appartenenti ad una popolazione più consistente, pur se in parte introgressa, di quota più elevata (T. Dolo); Fig.3) e Fig.4) Uploaded with ImageShack.use Uploaded with ImageShack.us; In tal caso si tratta di soggetti con fenotipo riconducibile all'habitus macrostigma (anche se sono presenti punti rossi) in una popolazione parzialmente introgressa ma uniforme presente nell'alto corso del F. Secchia. Tutto ciò è dovuto ai forti rimaneggiamenti gestionali (non sempre corretti) delle popolazioni originali, ormai quasi tutte introgresse. Purtroppo anche l'attività degli incubatoi di valle e quella delle troticolture specializzate ha determinato, nel tempo, a causa dei fenomeni di consanguineità e di ibridazione, l'incrememto dell'introgressione in natura. All'atto pratico, pur se le prescrizioni da parte dell'A.I.I:A.D. sulle attività gestionali degli impianti di valle stanno dando qualche risultato, la maggior parte delle popolazioni naturali appare attualmente introgressa. Rimedi: a mio parere nessuno. Ovvero, forse è meglio lasciare tutto così, mantenendo e migliorando l'attuale status di popolazioni selvatiche, piuttosto che ipotizzare un'improbabile operazione di puilizia e sterilizzazione genetica dei corsi d'acqua. Riporto, non a caso, ancora un esempio pratico emerso durante la campagna di monitoraggio ittico 2008 per la revisione della C.I. Provinciale (Acque di Categoria "D", a salmonidi, della provincia di Reggio Emilia). Si tratta di una popolazione stabile di ceppo atlantico/ibrido, automantenentesi e ragionevolmete da non sacrificare, del Torrente Ozola (corso medio). I dati sono in stampa come parte seconda della Revisione della Carta Ittica Provinciale, mentre la "Parte Prima" è già stata oggetto di pubblicazione sugli Atti del XII Congreso Nazionale A.I.I.A.D. (6-7 giugno 2008, S. Michele All'Adige TN) Studi Trentini di Scienze Naturali Vol.87 (2010). Uploaded with ImageShack.usEdited by Kiko 54 - 19/7/2011, 17:55
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